Imprese capitalistiche e malessere lavorativo

Pubblichiamo l’ editoriale di Luigino Bruni su Avvenire del 17 gennaio scorso “Giovani dirigenti sacrificati, come in eserciti e culti pagani”. Interessantissima riflessione sul malessere lavorativo nelle imprese capitalistiche, che usano in termini motivazionali parole per tutti fondamentali, come “dono”, “gratitudine”, “amicizia”, “perdono”, senza però riconoscerle e valorizzarle veramente. Con la conseguenza di creare solo un grande malessere in chi in queste imprese lavora.
“Il grande e pericoloso bluff delle moderne organizzazioni del capitalismo di ultima generazione si nasconde nel loro uso di registri simbolici e motivazionali dello stesso tipo di quelli utilizzati in passato dalle fedi ma – e qui sta il punto – snaturandole e ridimensionandole radicalmente.
Il nuovo capitalismo si è accorto che senza attivare le motivazioni e i simboli più profondi dell’umano le persone non danno la loro parte migliore. Così chiedono molto, (quasi) tutto ai loro neo-assunti, chiedono un impegno di tempo, priorità, passioni, emozioni, che non può essere giustificato ricorrendo al solo registro del contratto e del (pur molto) denaro. Solo il dono di sé può spiegare che cosa viene chiesto e dato in queste relazioni di lavoro. Ma se l’impresa riconoscesse veramente tutto il “dono” che chiede ai suoi lavoratori, creerebbe dei legami comunitari (cum-munus) che in realtà non vuole perché quelle relazioni diventerebbero non più gestibili e controllabili. Così ci si ferma al riconoscimento delle dimensioni meno profonde e vere del dono di sé, e si fa di tutto per ricondurre ogni comportamento all’interno del dovuto e del contratto.
[…] Le grandi parole della vita portano frutto solo se non strumentalizzate. Hanno bisogno di grandi spazi, di essere accolte nella loro complessità e, soprattutto, nella loro ambivalenza che le rende generative, vive, vere. E non permettono, per la loro stessa natura intrinseca, di essere usate a scopo di lucro, certamente non lo consentono per lungo tempo.”
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Buona lettura!
Ufficio Studi Mag