Linee Guida sulla Riforma del 3° Settore – La Mag risponde

Linee Guida sulla Riforma del 3° Settore – La Mag risponde

Raccogliendo l’invito del Governo Italiano che chiedeva di inviare suggerimenti per la Riforma del Terzo Settore a partire dalle Linee Guida (disponibili in pdf qui) che erano state pubblicate, Mag ha inviato alcune osservazioni a partire dalla propria esperienza, di oltre 35 anni, di supporto e accompagnamento del mondo del Non-Profit e dell’Economia Sociale.

Le osservazioni proposte da Mag possono essere scaricate in pdf da qui, oppure lette di seguito.

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Osservazioni alle Linee Guida del Governo
sulla Riforma del Terzo Settore

a cura di Mag Verona

Contributi di pensiero, suggerimenti a contenuto giuridico

con alcune esemplificazioni frutto dell’esperienza

Chi siamo

La scrivente società di mutuo soccorso Mag Società Mutua per l’Autogestione, assieme alla collegata Mag coop. Servizi per l’accompagnamento e lo sviluppo delle diverse organizzazioni dell’Economia Sociale e della Finanza Etica, accoglie l’invito del Governo a formulare contributi – a partire dall’esperienza  di oltre 35 anni – per addivenire ad una riforma e ad un rilancio del Terzo Settore in Italia.

Nata a Verona nel 1978, Mag ha accompagnato alla nascita circa 900 realtà non lucrative e di autogestione (piccole cooperative mutualistiche, associazioni, fondazioni, imprese sociali…) nei diversi ambiti dell’attività di cura, dell’educazione, del commercio equo, della cultura, della tutela ambientale, dell’agricoltura biologica, della rigenerazione dei beni comuni, e così via, con servizi culturali, formativi, tecnico-aziendali, di rete, e con interventi di finanza etica e microcredito. (www.magverona.it)

Nel merito dell’incipit e dintorni

L’Italia generosa, ovvero il Terzo Settore, di cui parla l’incipit delle Linee Guida del Governo, secondo noi, non solo “opera” laboriosamente, ma è un’Italia che pensa, produce saperi, coscienza politica, relazioni e socialità, creando al contempo buon lavoro ed intrapresa, anche attraversando conflitti e contraddizioni. È perciò un soggetto politico, ed è riduttivo ritenerlo una realtà che fa da tampone alle conosciute criticità degli altri soggetti (pubblico e privato profit).

A tal proposito, Mag già nel 2010 aveva prodotto, riaggiornandolo negli anni seguenti, un manifesto denominato “Nuovo Inizio di Speranza Collettiva” in cui, in un contesto di già conclamata crisi epocale, validava l’azione, il protagonismo e il pensiero del Terzo Settore, ed in specifico dell’Economia Sociale e della Finanza Solidale a matrice Mag, mostrando pratiche ed orizzonti di una nuova civiltà già in atto come via per riportare l’economia alla radice della vita collettiva affermando sostanzialmente l’irrinunciabilità della giustizia sociale, messa alle corde nell’ultimo ventennio.  (https://magverona.it/documento-politico-mag/)

Ma questo deve avvenire non certo appiattendo il tutto, come dicono le Linee Guida nei dintorni dell’incipit, ad un frettoloso e ambiguo “abbraccio tra capitalismo e solidarietà”, seppure riteniamo che ci sia lo spazio per un’economia di conversione a cui il capitalismo può orientarsi per rigenerarsi.

Il Terzo settore, che non è forse mai stato terzo e al presente non lo è certamente, non va collocato “tra” lo Stato e il Mercato, come un cuscinetto. È un settore – seppure talvolta con scivoloni – che va oltre le divisioni tradizionali, creando tra l’altro un’economia altra, che fonda la sua ragione ed essenza su principi orientanti come la solidarietà, la sussidiarietà, la relazionalità, la condivisione, la reciprocità, costruendo comunità e senso di appartenenza non solo “nazionale”, ma anche locale e internazionale.

È un Settore molto ricco, che comprende sì il volontariato, la cooperazione sociale, l’associazionismo non-profit, le fondazioni e le imprese sociali, ma anche le società di mutuo soccorso e le piccole cooperative a mutualità prevalente.

È, infine, un settore molto vivo, che meglio di altri sta dando risposta alla crisi: sono riprova di questo i dati Istat. Se c’è una dato a cui è stata data molta enfasi nello scorso anno è infatti di certo quel +28% in dieci anni (2001-2011) di organizzazioni attive nel non-profit, di contro al +8,4% delle imprese tradizionali. Ma ancora più sorprendente è cosa questo ha significato come impatto occupazionale: gli enti non-profit hanno maturato, nel decennio, un incremento di posti di lavoro complessivi del 61,5% (+39,4% i soli dipendenti), quando le imprese for-profit lo hanno avuto soltanto del 3,2% (e senza contare che invece ne hanno persi negli ultimi anni). (fonte: http://www.istat.it/it/archivio/119092)

Ricostruire le fondamenta giuridiche

La costruzione di quel “paradigma tripolare”, come è definito nelle Linee Guida, è un fatto importante se arriva a riconoscere negli Enti di Terzo Settore una soggettività originale e non residuale rispetto alle altre forme tradizionali, ovvero il pubblico e il privato for-profit; realtà che sono state perno nel ‘900 ma che oggi, per la crisi economica in atto, mostrano tutta la loro fragilità e difficoltà a definire l’orizzonte futuro. Fondamentale, quindi, è la definizione in positivo delle organizzazioni di Terzo Settore, e perciò non in negativo. Sono questi Enti che, come è stato giustamente rilevato, integrano in sé la natura privata, nel senso di non statuale, come soggetto giuridico, ma la pubblicità sotto il profilo delle finalità, dell’utilità sociale e dell’indivisibilità del patrimonio.

Tale ridefinizione, però, non può e non deve diventare una gabbia, ma dovrebbe piuttosto essere un principio orientante a supporto della creatività di questo Mondo, radicata anche su una disciplina normativa che più che paletti è in grado di fornire supporti e agganci per la costruzione di Organizzazioni davvero capaci di contribuire alla costruzione di un welfare partecipato e di nuova economia di condivisione.

È noto quanto è successo, ad esempio, alla forma della fondazione, ente originariamente autocratico e fortemente rigido e verticistico, dalla quale però la pratica attiva della Società Civile ha fatto gemmare la fondazione di partecipazione, garantendo democraticità, condivisione, apertura al territorio e alla comunità, preservando al contempo la caratteristica del forte vincolo patrimoniale a garanzia delle risorse immesse. Sono queste fondazioni che oggi operano in molti contesti diversi, fornendo servizi fondamentali per il benessere locale.

La riforma della disciplina civilistica in materia di enti non commerciali, quindi, è auspicabile nella misura in cui muove verso una semplificazione delle specifiche forme, e non verso un irrigidimento delle stesse che necessariamente porterebbe ad una forte limitazione della creatività e dell’innovatività che questo settore possiede e che lo contraddistingue.

  • Molto importante è la valorizzazione delle possibilità derivanti dall’autonomia statutaria dei diversi Enti che, pur nei ragionevoli limiti imposti dalla Legge, possono adeguare il più possibile la loro forma organizzativa alle reali esigenze, derivanti dalle diverse necessità di risposta ai bisogni dei loro contesti che, per natura, non sono standardizzabili.
  • A nostro parere, è opportuno che vi siano dei requisiti sostanziali che identifichino gli Enti Non-Profit (la non lucratività; l’indistribuibilità di utile e patrimonio; la partecipazione; la democraticità; il principio della porta aperta). È invece pericoloso inserire limitazioni delle attività, nel senso di una definizione ex-ante dei settori e degli ambiti in cui possono operare. Non è infatti possibile per il Legislatore prevedere tutte le possibili attività, di rilevanza sociale, che possono essere svolte dalle Organizzazioni di Terzo Settore, e una prescrizione in tal senso andrebbe a minarne dalle fondamenta la capacità generativa e innovativa.
  • Più che ipotizzare forme organizzative diverse per dimensioni economiche diverse, agganciando quindi la forma alla dimensione, sembrerebbe utile ipotizzare forme diverse di rendicontazione, e di trasparenza contabile e gestionale. La libertà della scelta organizzativo/giuridica da adottare sembra infatti un presupposto fondamentale per garantire che l’Ente sia in grado di strutturarsi davvero in modo tale da dare risposte efficaci al proprio contesto ed alla comunità di riferimento.
  • La necessità di trasparenza e la giusta ricerca di forme di controllo per evitare un uso spregiudicato di forme ed agevolazioni proprie di questo settore non dovrebbe passare secondo noi attraverso un inasprimento delle norme, quanto piuttosto attraverso i previsti accertamenti dell’autenticità sostanziale, e non formale, dell’attività a valenza sociale svolta, ed eventualmente attraverso una ragionata e graduale estensione delle forme di rendicontazione sociale.

Parlando di riforme del Codice Civile, però, è bene portare l’attenzione anche ad un altro elemento molto importante per adeguare la normativa alle nuove frontiere del Terzo Settore, che sempre più affronta il tema della valorizzazione e gestione condivisa dei Beni Comuni, attuando anche i principi costituzionali di cui agli artt. 43 e 118 della nostra Costituzione che, nell’affermare il valore della sussidiarietà, prevedono, se letti congiuntamente, anche l’affidamento di determinate categorie di beni o servizi a comunità di cittadini/e per garantire ancor più l’interesse generale. A tal proposito, si propone di riconsiderare il lavoro e la proposta di riforma del Libro III, Titolo I, Capo II del C.C. presentato nel 2007 dalla Commissione Rodotà come base di un lavoro di ridefinizione delle categorie di proprietà, introducendo il concetto di Beni Comuni e quindi prevedendo anche forme di acquisizione e di gestione da parte di quella fetta del Terzo Settore che opera in tal senso.

Questo avviene, ad esempio, quando un gruppo di Cittadini e Cittadine vuole dare nuova vita ad un immobile pubblico dismesso, sia esso un ex-macello comunale, una caserma od altro, ristrutturandolo e mettendolo in condizione di assolvere alla sua funzione di Bene Comune e rendendolo anche luogo di nuovi servizi capaci di generare benessere. In casi come questo è fondamentale trovare le forme di affidamento, per garantire da un lato che l’uso non sia privatistico, ma dall’altro la piena titolarità dei nuovi soggetti sul bene, preservandoli dal rischio di veder vanificati i propri sforzi con una revoca dell’affidamento. Nel nostro operato quotidiano molti sono i progetti che vanno in questo senso, ad esempio per servizi di co-housing, social learning, co-working, incubatori di nuova economia, uffici di promozione territoriale.

Valorizzare il principio di sussidiarietà

La piena attuazione del principio di sussidiarietà, introdotto con forza dall’art. 118, quarto comma, della nostra Costituzione è una delle più importanti sfide da portare avanti con determinazione poiché, da un lato, innalza il livello di civiltà e di democrazia reale del Paese, mentre dall’altro contribuisce davvero alla costruzione di un welfare comunitario aumentando il benessere e la qualità di vita dei/lle Cittadini/e. Ma non solo: dalle iniziative di sussidiarietà, secondo la nostra esperienza, nuclei di persone creano inediti posti di lavoro in ambiti tralasciati dalle istituzioni e dal mercato, ma che riguardano spesso il territorio, i servizi comuni, l’istruzione e l’educazione, e così via.

Questo passaggio culturale e giuridico, però, non riguarda solo l’ambito della programmazione e gestione dei servizi sociali, come previsto dalla L. 328/2000, ma passa anche nella collaborazione tra l’Ente Pubblico e i/le Cittadini/e in molti altri ambiti (a titolo non esaustivo: la cultura, la cura dei beni pubblici, la gestione dei Beni Comuni, e così via).

La logica quindi che vuole favorire la co-progettazione dei servizi tra pubblico e privato non-profit, togliendo quest’ultimo dalla posizione di mero esecutore, andrebbe estesa a tutti questi settori, promuovendo l’adozione e l’utilizzo di uno stile di “Amministrazione Condivisa”, come è con precisione definita dal prof. Gregorio Arena, ovvero un’amministrazione capace di usare efficacemente strumenti quali, ad esempio, quelli elaborati da Labsus (Laboratorio di Sussidiarietà), piattaforma autorevole che raccoglie pratiche importanti come il “Regolamento sulla collaborazione tra Cittadini e Amministrazione per la cura e rigenerazione dei Beni Comuni urbani” adottato dal Comune di Bologna o i “Patti di Sussidiarietà” applicati nella Regione Liguria grazie alla lungimirante sperimentazione dell’assessora Lorena Rambaudi.

A nostro parere, tra Terzo Settore ed Istituzioni vanno senz’altro potenziate la relazione e la co-progettazione, ma devono essere introdotti nuovi strumenti anche sul lato dell’affidamento dei servizi, uscendo dalla logica dell’appalto, specialmente secondo il principio del massimo ribasso che non è in grado di garantire la qualità necessaria a servizi ad alto valore sociale. Bisogna studiare forme che tengano conto dei differenti soggetti, del loro radicamento nelle comunità e delle loro diverse creatività e responsabilità.

Infine, per quanto riguarda le procedure di autorizzazione ed accreditamento, è molto importante  procedere ad una revisione dei requisiti in un’ottica di snellimento e di semplificazione, puntando su elementi di qualità e trasparenza piuttosto che su requisiti formali.

Far decollare l’impresa sociale

Il D.Lgs. 155/2006, che aveva introdotto la forma dell’Impresa Sociale dando un riconoscimento ad un’innovazione che era già in atto, ha però sostanzialmente fallito dato che non è stata in grado di rispondere alle reali esigenze delle Imprese Sociali.

Sono queste forme organizzative che non si limitano ad assemblare imprenditorialità e solidarietà, ma che sono in grado di armonizzarle costruendo un modo nuovo di fare economia, secondo paradigmi diversi da quella dell’economia tradizionale che ha generato la crisi di questi anni.

L’apporto fondamentale dell’Economia Sociale e dell’Impresa Sociale è da tempo riconosciuto anche dall’Unione Europea (si veda, ad esempio, la “Relazione sull’Economia Sociale” al Parlamento Europeo dell’on. Patrizia Toia del 26/01/2009 o il “Parere del Comitato Economico e Sociale Europeo sul tema: imprenditoria sociale e impresa sociale” del 26-27/10/2011), tanto che questa ha indicato come prioritaria la costruzione di un “ecosistema per promuovere le imprese sociali al centro dell’economia e dell’innovazione sociale” tramite l’adozione della “Social Business Initiative” dell’ottobre 2011 (fonte: http://www.europarl.europa.eu/meetdocs/2009_2014/documents/com/com_com%282011%290682_/com_com%282011%290682_it.pdf). Questa Direttiva riconosce con forza il cammino fatto dall’Economia Sociale in Europa, precisando che oggi occupa il 4,5% dei lavoratori/trici generando ben il 10% del PIL europeo, accanto alle ricadute di benessere non direttamente monetizzabili.

Una delle direttrici di questo sviluppo è, per l’appunto, la costruzione di un panorama giuridico che ne permetta e ne favorisca la generatività, connesso con un adeguato piano di promozione anche finanziaria e in termini di visibilità.

Una prima considerazione è che non pare la scelta più opportuna quella di rendere obbligatoria l’assunzione della veste giuridica di Impresa Sociale laddove ne sussistano i requisiti. Il basso numero di costituzioni e di registrazioni in tale ambito è da ascrive ad una Legge che, come si è detto, non è stata pienamente in grado di rispondere alle esigenze di questi Enti. Più che la coercizione, è la costruzione di una buona norma, in un orizzonte di libertà creativa, a nostro avviso, lo strumento maestro per incentivare la nascita di nuove Imprese Sociali.

Per questo appare come necessario ed urgente riformare la disciplina dell’Impresa Sociale secondo alcuni punti importanti:

1)      Ampliare i settori di attività, introducendo anche le nuove frontiere dell’innovazione sociale. In particolare, nella nostra esperienza abbiamo notato che potenzialmente potrebbero nascere sempre più Imprese Sociali nell’ambito della tutela e rigenerazione dei Beni Pubblici e dei Beni Comuni, nella gestione ed erogazione di servizi pubblici di interesse collettivo (dal trasporto pubblico alla distribuzione idrica o postale, ad esempio, come accade per le Community Interest Company del Regno Unito), nel commercio equo e solidale. Anche l’ambito sportivo dilettantistico è un settore in cui le Imprese Sociali potrebbero operare per aumentare il benessere della comunità. Sarebbe poi opportuno introdurre anche l’ambito del turismo responsabile e sostenibile, concetto più ampio del turismo sociale come oggi inserito nella normativa dell’Impresa Sociale, che comprende anche l’attività turistica rispettosa dell’ambiente e dello sviluppo locale armonico. Andrebbe inoltre maggiormente definita l’attività di “ricerca ed erogazione di servizi culturali”, che a nostro avviso andrebbe intesa nel senso più ampio possibile, ricomprendendo tutte le attività culturali, artistiche e performative e la loro promozione. Nella tutela dell’ambiente e dell’ecosistema sarebbero inoltre da ricomprendere anche tutte le attività di tipo agricolo ed agroalimentare sociali che contribuiscono alla cura e tutela della Terra, come l’agricoltura biologica, purché svolte con finalità non lucrative.

2)      All’allargamento dei settori per i quali è riconosciuta in modo, per così dire, automatico il rilievo sociale dovrebbe accompagnarsi la possibilità di riconoscere, eventualmente con appositi organismi di controllo magari residenti in quell’Authority per il Terzo Settore ipotizzata nelle Linee Guida, anche altre attività non qui ricomprese ma che, alla prova dei fatti, si dimostrino meritorie del riconoscimento, consci dell’impossibilità del Legislatore di prevedere l’evoluzione dell’innovazione sociale futura. Andrebbe inoltre preservata la possibilità di intersezione dei diversi settori.

3)      Sarebbe utile, si fini della determinazione dell’“attività principale” che deve essere quella di utilità sociale, chiarire i rapporti tra le attività di utilità sociale e le eventuali attività connesse. In particolare sarebbe corretto riconoscere i proventi derivanti dalla cessione di beni o l’erogazione di servizi direttamente collegati con le attività ad utilità sociale come relativi a queste ultime, e non come un’attività diversa. Un esempio può essere quello di un’Impresa Sociale che, svolgendo laboratori artistici che hanno una valenza terapeutica nei confronti di persone che vivono una condizione di disagio, venda poi le opere prodotte per finanziare la propria attività; oppure può essere il caso di un’Impresa Sociale che, gestendo un sito archeologico e la sua fruizione e valorizzazione, offra servizi ristorativi anche per sostenere la manutenzione.

4)      Le categorie di lavoratori svantaggiati dovrebbero, quanto meno, essere ampliate a tutte quelle ricomprese nel regolamento (CE) n. 2204/2002, art. 2, analizzando però al contempo le sempre maggiori debolezze emergenti, studiando le forme per riconoscerle e permetterne l’inserimento lavorativo.

5)      Forme limitate di remunerazione del capitale sociale sembrano auspicabili poiché possono contribuire alla incentivazione di investimenti nell’Economia Sociale.

6)      È assolutamente necessario e di primaria importanza garantire l’estensione delle agevolazioni e dei benefici di legge riconosciuti alle Onlus anche alle Imprese Sociali, senza far dipendere questi sgravi ed aiuti dalla forma giuridica di base. È auspicabile cioè che l’adozione della veste di Impresa Sociale garantisca automaticamente almeno il regime fiscale previsto per le Onlus ex D.Lgs. 460/1997. Una possibile proposta è che le Imprese Sociali siano Onlus di diritto, preventivamente raccordando opportunamente il citato D.Lgs. 460/1997.

7)      È inoltre fondamentale garantire alle Imprese Sociali che fanno inserimento lavorativo di persone svantaggiate gli stessi sgravi contributivi relativi a questi ultimi delle Cooperative Sociali, dato che l’operato è il medesimo, per permette di assolvere a questo loro scopo.

8)      Consapevoli dell’importanza socio-economica del mutualismo reale, come sancito del resto dall’art. 45 della Costituzione, proponiamo di rivedere la nozione di Impresa Sociale del D.Lgs. 155/2006 nella parte in cui si indica (art. 1, comma 2) che “le organizzazioni i cui atti costitutivi limitino, anche indirettamente, l’erogazione dei beni e dei servizi in favore dei soli soci, associati o partecipi non acquisiscono la qualifica di impresa sociale”. Tale assunto, che risulta ambiguo poiché non è chiaro se si tratti di una prescrizione formale o sostanziale, andrebbe chiarito o addirittura rivisto, dato che forme di auto-organizzazione e auto-gestione mutualistica possono sorgere non come strumento autointeressato, ma come strumento di risposta collettiva ai propri bisogni in modo da preservare democraticità e partecipazione, sempreché si strutturino sulla base del principio della porta aperta.

9)      Nei meccanismi di governance e di controllo va incentivata l’introduzione di pratiche multi-stakeholders. In tal senso, pur mantenendo il divieto di direzione e controllo di un’Impresa Sociale per gli Amministrazioni Pubbliche e le Organizzazioni For-Profit, sono da studiare comunque forme di partecipazione di queste ultime alla governance per permettere e semplificare la costruzione di Imprese di Territorio e Comunità rappresentative.

10)   Per promuovere il movimento dell’Economia Sociale è necessario prevedere delle politiche di sostegno ovvero un’adeguata dotazione di risorse, anche finanziarie, utili allo sviluppo delle Imprese Sociali, obiettivo che tra l’altro rientra anche nelle priorità dell’entrante programmazione europea 2014-2020. Riteniamo interessante la proposta del Governo di iniziare con la messa a disposizione di 500 milioni alle esigenze finanziarie dell’Economia Sociale (importante è però sapere quando, basta dichiarazioni!).

Inoltre, il Governo potrebbe anche sollecitare le Regioni, depositarie della gestione in particolare di FSE e FESR, ad adottare dei POR che allochino una parte consistente di risorse in tale campo. Il governo potrebbe inoltre predisporre appositi bandi ministeriali. In generale, tutti i bandi dovrebbero sostenere l’avvio delle nuove Imprese Sociali finanziando parte delle spese d’avvio, nel quale novero si ricomprendono tanto gli investimenti quanto i costi d’esercizio perlomeno del primo anno: va infatti considerato che spesso le Imprese Sociali richiedono un ridotto investimento in acquisto di beni durevoli, ma un grande investimento in spese di avvio (servizi professionali, lavoro, comunicazione…) e in lavoro. Sono da studiare con particolare attenzione forme miste di contributo e finanziamento agevolate mediante l’istituzione di fondi di rotazione dedicati all’Economia Sociale.

11)   Rispetto alle Cooperative Sociali, non sembrerebbe corretto il riconoscimento delle stesse come Imprese Sociali di diritto, dato che si creerebbe una disparità di trattamento rispetto agli obblighi assunti; piuttosto, si propone la possibilità per le Cooperative Sociali di adottare, al fine del riconoscimento come Imprese Sociali, le prescrizioni di cui alla normativa delle Imprese Sociali non con modifica statutaria straordinaria ma con semplice delibera di assemblea ordinaria.

Servizio Civile Universale

È sicuramente un dato positivo il potenziamento del Servizio Civile come opportunità per i giovani di sperimentarsi in un’esperienza formativa che nell’arricchire loro stessi al contempo contribuisce al benessere del Paese dato che si impegnano in un’attività ad alta utilità sociale.

Riteniamo però che sia più opportuno mantenere i dodici mesi di durata, e non di ridurla, per garantire un tempo disteso all’apprendimento e all’esperienza. I risultati formativi ottenuti dovrebbero sì essere in qualche modo certificati, ma tenendo conto anche delle competenze non formali e informali acquisite, come quelle relazionali.

Importante è anche, certamente, il raccordo, per quanto possibile, con il mondo del lavoro, in modo da rendere quest’esperienza anche un momento fortemente professionalizzante.

Il Servizio Civile dovrebbe essere, a nostro avviso, un percorso in cui giovani donne ed uomini si mettono al servizio della loro comunità volontariamente, valorizzando il loro protagonismo di nuove generazioni; va quindi innovata l’idea di una sorta di “servizio di leva civile”, in cui prevale la retorica della difesa della Patria.

Sostegno economico, pubblico e privato, agli enti del terzo settore

Se da un lato è importante incentivare le donazioni da parte dei privati al Terzo Settore, anche mediante meccanismi di detrazione / deduzione dalle imposte, dall’altro non deve venire meno il sostegno pubblico, anche tenendo conto del fatto che spesso l’operato delle Imprese Sociali sgrava l’Ente Pubblico di molti costi. Il sostegno pubblico dovrebbe essere presente sia come contribuzione finanziaria tramite appositi bandi, Nazionali e Regionali, che dovrebbero essere costruiti di concerto con il Terzo Settore e le sue voci più autorevoli ed avanzate, sia come agevolazione fiscale. In particolare, potrebbero essere studiate particolari leve fiscali tali da ridurre il peso impositivo, a qualunque titolo, di una misura proporzionale al valore generato dall’impresa e/o il risparmio da questa generato per l’Amministrazione Pubblica.

Il 5×1000 va assolutamente mantenuto e potenziato, anche trovando il modo di velocizzare il riparto e la liquidazione.

Riguardo al crowdfunding, è necessario produrre una regolamentazione complessiva, il più aperta possibile.

Favorire titoli finanziari etici, e forme di microcredito, è fondamentale per lo sviluppo dell’Economia Sociale; ma d’altra parte va favorito anche l’autofinanziamento, anche attraverso forme di azionariato popolare. In particolare, si propone di estendere a tutte le organizzazioni del Terzo Settore la normativa del prestito sociale riservato dalla L. 59/1992 alle Cooperative a mutualità prevalente, inserendo quindi un’aliquota secca sull’eventuale remunerazione, la cui entità andrebbe parallelamente ridiscussa e ridotta rispetto all’attuale 20%, che tra l’altro passerà al 26% dal prossimo 01 luglio 2014.

Rispetto alla assegnazione di immobili e di altri beni patrimoniali pubblici inutilizzati a soggetti del Terzo Settore si sottolinea l’importanza di facilitare contratti di comodato a lungo termine, ad esempio di 30 o 40 anni per ammortizzare le spese di adeguamento e ristrutturazione che potrebbero – in contropartita –  andare in carico a realtà del Terzo Settore. Sono tuttavia auspicabili anche altre nuove forme di acquisizione come indicato in precedenza rispetto alla riforma della relativa sezione del Codice Civile. Si segnala inoltre l’importanza di seguire le iniziative con le quali donne e uomini decidono di occuparsi di tali beni, già abbandonati da tempo da Enti pubblici o privati, con movimenti dal basso , da guardarsi perciò non con sospetto, ma in una ottica di dialogo e di confronto costruttivo, come, ad esempio, merita la vicenda – anticipatrice – del Teatro Valle di Roma.

Un discorso analogo va fatto anche per i terreni abbandonati, siano essi pubblici o privati. Questi terreni sono spesso lasciati, per incuria, del tutto improduttivi, andando a dissipare il loro potenziale valore come risorsa naturale e produttiva. Tali terreni, invece, se adeguatamente gestiti potrebbero generare una nuova e buona occupazione oltre a contribuire, tramite l’opera che può esservi svolta, alla tutela dell’ambiente, con particolare riferimento alla prevenzione del dissesto idro-geologico. Anche sulla scorta dell’esperienza di Mag Verona, che già dalla fine degli anni ’70 ha seguito molte fortunate esperienze che, talvolta partendo da un’occupazione, hanno portato ad una rivalorizzazione di terre incolte ed abbandonato dando vita a altrettante cooperative agricole e sociali, molte tuttora attive, proponiamo lo studio di norme e procedure tali da facilitare e favorire il passaggio di terreni lasciati a sé stessi, da privati o dall’Ente Pubblico, a gruppi di donne e uomini che desiderino prendersene cura. Questa pratica è oggi più che mai attuale, come testimoniano anche da un lato i numerosi progetti di censimento e mappatura dei terreni abbandonati, dall’altro la libera iniziativa di molti e molte, specialmente giovani, che desiderano costruire il proprio futuro nell’orizzonte di nuove vite contadine.

Valorizzare il volontariato nell’Economia Sociale

Secondo la nostra esperienza di accompagnamento e sostegno alla nascita di micro e piccole cooperative a mutualità prevalente, sarebbe necessario ammettere la presenza di soci volontari, così come è oggi possibile nelle Cooperative Sociali e nelle Imprese Sociali. Ad esempio: in una microcooperativa che opera con due socie lavoratrici nella gestione di una libreria indipendente/caffè letterario, altri soci volontari potrebbero coadiuvare le lavoratrici nella gestione, così come alcuni/e soci/ie volontari/ie esperti/e potrebbero affiancare gratuitamente lavoratori/trici più giovani in un’attività legata alla comunicazione e alle nuove tecnologie multimediali. Ad oggi a questi/e soci/ie volontari/ie è interdetta, nelle piccole cooperative mutualistiche di lavoro, l’attività, pena verbali e sanzioni se trovati dall’Ispettorato del Lavoro ad operare in cooperativa (già sperimentato!).

In tutte le forme dell’Economia Sociale è perciò fondamentale valorizzare il ruolo del volontariato, trovando forme di regolamentazione che lo permettano e non lo penalizzino, lasciando anche in questo caso spazio alla creatività ed alla libera disponibilità di donne e uomini che desiderano affiancare con le proprie risorse l’operato delle Imprese Sociali, delle Cooperative Mutualistiche, delle Cooperative Sociali, delle Associazioni, delle Fondazioni e di tutti gli altri Enti che operano in questo ambito.

Valorizzare il Terzo Settore non significa ritrarre lo Stato

La riforma proposta dal Governo dovrebbe mirare a supportare, favorire ed incentivare l’apporto creativo del Terzo Settore e dell’Economia Sociale, non a delegare i doveri istituzionali dello Stato al cosiddetto Privato Sociale. Lo Stato Sociale non può essere smantellato, o ridotto, e il sistema universalistico del welfare pubblico non può ritrarsi affidando, indebitamente, i propri compiti ad altri soggetti. Il ruolo del Terzo Settore e dell’Economia Sociale deve agire in modo autenticamente sussidiario, nel pieno rispetto del già citato art. 118 della Costituzione, in un’ottica di cooperazione, di coordinamento e di reciproco riconoscimento.

Lo Stato non può essere ridotto a mero controllore, che “esternalizza” indiscriminatamente; fatto fermo, e anzi potenziato, il ruolo delle Istituzioni nel garantire i servizi di base universalisticamente, lo Stato dovrebbe piuttosto agire da partner, favorendo l’autonoma iniziativa dei/delle Cittadini/e, singoli o associati, anche e soprattutto in quei particolari settori che il sistema di welfare tradizionale non conosce o non riesce a raggiungere, e che molte volte non riguardano solo l’ambito della sanità e dei servizi sociali, ma vanno oltre, rispondendo a nuovi bisogni emergenti, ad esempio di cura del territorio agricolo ed urbano, cura del patrimonio culturale ed artistico, invenzioni lavorative legate ai predetti servizi di cura.

Finanza Etica: raccolta di risparmio e interventi a sostegno dell’Economia Sociale

La finanza etica nasce a Verona nel 1978 ad iniziativa di Mag Soc. Mutua per l’Autogestione, e poi si è diffusa in vari contesti italiani.

Negli anni successivi rilanciano la finanza etica Mag2 (Milano), Mag 4 Torino, Mag Venezia, Mag 6 Reggio Emilia, Mag Roma, Mag Firenze ed in questi giorni sta nascendo Mag della Calabria e la rinominano a livello di rete: finanza mutualistica e solidale (vedi Manifesto della Finanza Mutualistica e Solidale svolta dalle Mag, https://magverona.it/wp-content/uploads/2014/06/Manifesto_finanza_mutualistica.pdf).

Alla base della finanza etica c’è la scelta consapevole di orientare il piccolo risparmio verso le diverse forme di Economia Solidale rispettose dell’ambiente, impegnate per la giustizia sociale e fondate sui principi d’autogestione e cooperazione.

La finanza etica a matrice Mag – che nei trent’anni di storia ha finanziato qualche migliaio di imprese sociali e responsabili – opera per lo più a livello locale sottoforma di cooperativa a mutualità prevalente per rendere fattiva la partecipazione e la relazione tra chi risparmia e chi necessita di risorse finanziarie per attività di nuova economia e d’autoimpiego.

Dal 1993 i decreti antiriciclaggio ed i successivi interventi delle Autorità Monetarie recepiti dal Parlamento hanno canalizzato, a livello normativo, le attività della Finanza Etica nell’alveo delle Finanziarie Tradizionali e delle Banche sotto il regime del TUB (Testo Unico Bancario, D. Lgs. 385/1993).

Tale canalizzazione ha pesato e sta pesando ingiustificatamente sulle Mag Mutue d’Autogestione e sulle realtà simili. Nuove Mag faticano a nascere per l’impianto normativo soffocante.

Si richiede perciò al Governo che le attività di finanza etica svolte sottoforma di cooperativa mutualistica, che operano prevalentemente a livello locale e nei limiti massimi di 5.000.000 di raccolta di risparmio siano ricomprese nella Riforma del Terzo Settore e secondo lo spirito di valorizzazione delle intraprese sociali che la riforma si propone, uscendo perciò dal TUB.

MAG VERONA

Economia Sociale, Finanza Etica e Microcredito

Ente di formazione, consulenza e supporto
al Terzo Settore e alle Imprese Sociali

Verona, via Cristofoli 31/a
0458100279 – formazione.progetti@magverona.it