Ugo Mattei: “Acqua Bene Comune”

Gestire l’Acqua Bene Comune:
governo partecipato e principi ecologici a Napoli.
Intervista al giurista e presidente di ABC Ugo Mattei, a cura di Paolo Dagazzini (da A&P 02/2013)
Paolo Dagazzini: La pratica della gestione dei beni comuni si è in qualche modo concretizzata nell’esperienza di Napoli dove la s.p.a. che gestiva il servizio idrico, ARIN, è stata in qualche forma “ripubblicizzata” sotto forma di azienda speciale, che ora si chiama ABC (Acqua Bene Comune, nome significativo!), e che però sfugge alla visione tradizionale dell’ente pubblico, in una logica di gestione collettiva. Ce ne può parlare?
Ugo Mattei: La vicenda di ABC nasce da lontano, affonda le sue radici nei referendum sull’acqua pubblica e, prima ancora, in quei movimenti che dall’inizio del secolo che stiamo vivendo agiscono in questo senso. ABC è quindi il punto di arrivo di un cammino che noi, redattori del referendum, avevamo immaginato per tutti dato che nel “pacchetto referendario” era presente un terzo quesito, non ammesso dalla Corte Costituzionali, che avrebbe vietato l’utilizzo della società per azioni per il servizio idrico. Questo nostro disegno è stato quindi gravemente mutilato, ed è quindi potuto avverarsi solo a Napoli, dove c’è voluta peraltro una volontà politica molto ferma.
Come lei ha giustamente notato, noi abbiamo sempre detto, prima e dopo il referendum, che non volevamo il ritorno ad un pubblico burocratizzato, partitocratico e sprecone, ma volevamo inventare un nuovo modello di pubblico, che fosse partecipato dalla base dai cittadini, nella logica dei beni comuni.
PD: Una “terza via”, quindi, tra privato e pubblico tradizionalmente intesi…
UM: Esatto. Pubblico e privato, come declinati dalla modernità, sono basati sulla stessa logica di proprietà sovrana e di esclusione, ed hanno creato una sorta di tenaglia attorno ai beni comuni, che sono caratterizzati invece all’opposto, essendo fondati sull’accesso e sulla condivisione del governo del bene stesso. Questo era quindi il quadro teorico in cui ci muovevamo, e che avrebbe dovuto portare ad una soluzione simile ad ABC per tutti, sennonché dopo il voto referendario il Governo avrebbe dovuto mettersi attorno ad un tavolo per studiare questo passaggio, basato su uno sviluppo forte del cosiddetto Terzo Settore, o di quella che voi giustamente chiamate Impresa Sociale, che è adatta allo scopo. Sarebbe dovuta essere una priorità, ma non lo è stato. Anzi, hanno più che altro pensato a come bloccare questo sviluppo, cercando di disfare quello che avevamo conquistato; fortunatamente è intervenuta la Corte Costituzionale con la sentenza 199/2012 che ha sancito l’impossibilità per Governo e Parlamento di legiferare contrariamente a quanto stabilito per referendum.
PD: Un quadro quindi non del tutto favorevole a queste trasformazioni.
UM: Già, la strada che percorrevamo era lastricata di difficoltà, anche perché il nostro diritto, dopo venticinque o trenta anni di capitalismo e neo-liberismo è totalmente sbilanciato verso il privato. È molto più agevole far passare qualcosa dal pubblico al privato, ma è molto più difficile il passaggio in senso contrario; il modello imperante sostanzialmente umilia il settore pubblico rispetto al settore privato. Un ostacolo, in questo senso, deriva dall’articolo 2500septies del Codice Civile, che prevede appunto la trasformazione di un’azienda pubblica in privata, ma non viceversa. Per ovviare a questo abbiamo dovuto fare un’opera di interpretazione che ha richiesto quasi un anno e mezzo di studio: la nostra tesi è che il passaggio che ci interessava fosse possibile in quanto non espressamente vietato. Non è stato semplice. Abbiamo dovuto portare prove forti in merito, e ci ha aiutato anche la sentenza della Corte Costituzionale di cui ho parlato, che sostanzialmente dice che la volontà popolare rappresenta in qualche modo una fonte legislativa sovraordinata, che può fungere da interpretazione legislativa in virtù del suo surplus democratico. In aggiunta, il diritto Europeo che mette su un piano di indifferenza pubblico e privato. Alla fine, è stato il Presidente del Consiglio Nazionale del Notariato ad avallare quest’idea, nonostante molti interpreti la pensassero diversamente.
PD: E quindi avete avuto via libera per “ripublicizzare” ABC, ma come?
UM: Serviva una forma giuridica, e noi abbiamo individuato quella dell’azienda speciale di diritto pubblico, un vecchio istituto giuridico che però sarebbe stata, di per sé, la quintessenza del “pubblico” che volevamo evitare, e quindi sarebbe potuta rivelarsi un ritorno all’indietro. Ma noi questo istituto lo abbiamo rinobilitato riportandolo in vita per un compito importante.
Faccio una parentesi: ABC dà da bere a oltre un milione di persone, gestisce un acquedotto, è all’avanguardia. L’esperienza napoletana dimostra che quella dei beni comuni non è categoria “bucolica”, solo per il piccolo, ma è invece una vera e propria struttura di governance alternativa, utilizzabile per ricostruire davvero un settore pubblico più coerente con l’art. 3 della Costituzione, quello che parla dell’uguaglianza.
PD: C’era il rischio, quindi, di tornare indietro. Ma lo avete evitato grazie allo Statuto di ABC.
UM: Esattamente, si è lavorato proprio su possibilità dell’autonomia statutaria. ABC si è quindi data uno Statuto, tra l’altro coerente con quello del Comune di Napoli che aveva introdotto la definizione beni comuni a sua volta nel proprio.
Lo Statuto è stato quindi lo strumento che ci ha permesso di inserire nuovi principi nel DNA di ABC, che si è configurata come un’azienda ecologica e partecipata, fondata sui principi della gestione dei beni comuni.
PD: Principi che avete inserito negli articoli iniziali, quei criteri “ecologici e solidali” che dovrebbero in questo modo orientare l’attività di ABC.
UM: Però restava il problema di garantirli, tramite il monitoraggio. Monitorare l’opera di una s.p.a. è semplice, ha come fine il profitto, e quindi è il mercato a fare le valutazioni. Ma per il governo beni comuni la logica doveva essere diversa, e la nostra intuizione è che questa funzione potesse essere assolta dalla partecipazione come meccanismo di controllo. Così abbiamo introdotto due importanti strumenti di partecipazione nello Stato, per evitare che si ritornasse al “baraccone”.
Il primo è nella gestione: le questioni ecologiche sono inserite nel governo tramite la partecipazione direttamente al Consiglio di Amministrazione, con pieno diritto di voto, di due rappresentanti del mondo ambientalista, a garanzia che davvero fossero tenute in conto le istanze ecologiche legate all’acqua come bene comune.
Il secondo è nel controllo, e qui sta la vera grande innovazione. Abbiamo inserito un organo nuovo nella governance, il Comitato di Sorveglianza. Si tratta di una sorta di “Parlamentino”, mi si passi il termine, che tra l’altro garantisce che il governo “pubblico” sia in un’ottica diversa da quella della “proprietà de Sindaco”, per capirci. Questo è davvero uno spazio di partecipazione: i suoi 21 membri infatti sono, oltre all’Assessore all’Acqua, cinque membri del Consiglio Comunale, cinque lavoratori di ABC (che non hanno funzione di sindacalisti, ma agiscono nell’interesse della collettività), cinque rappresentanti delle associazioni ambientaliste e cinque rappresentanti degli utenti, e si tenga presente che abbiamo ideato un sistema di nomina complesso, che prevede anche il sorteggio, per evitare che si crei una sorta di competizione para-politica. Quando sarà a regime, dato che ora siamo a livello di nomina, questo Comitato avrà il compito di valutare e supervisionare affinché la vocazione ecologica e sociale dell’azienda sia rispettata, con dinamiche non arbitrarie ma con strumenti oggettivi come la “Matrice dei Beni Comuni” che è in studio. Ma c’è di più: dovrà anche occuparsi della stesura di un bilancio partecipato.
PD: Dal suo racconto emerge uno Statuto innovativo che supera le aporie e le “vecchiezze” degli strumenti giuridici.
UM: Diciamo che, è vero, esistono ancora problemi formali, dato che si cerca di far funzionare con una certa vocazione strumenti giuridici che hanno altre funzioni. Serve una normazione sul punto, ma manca perché il Governo fa di tutto per rendere questo strumento inutilizzabile. Stiamo incidendo su una realtà fortemente strutturata che mal sopporta che si dimostri che esiste, e funziona, un altro modo di governare il pubblico. Ne è prova quanto poco se ne è potuto parlare finora. Ma il fatto che ABC esiste è molto più forte rispetto a tanti proclami. Servirebbe una legge che renda più flessibile l’azienda speciale, che non è ancora la forma ottimale, garantendo i vantaggi di una s.p.a., evitandone gli svantaggi e introducendo i principi alla base di ABC.
PD: Principi tra i quali quello che l’acqua è davvero un bene comune del quale tutti hanno diritto. Ho letto nello Statuto una prescrizione molto indicativa in questo senso: è previsto un quantitativo minimo giornaliero a persona, stabilito secondo le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, garantito al punto di essere gratuito.
UM: È così, e questo è un aspetto molto importante. L’Acqua è un bene comune, e al centro di quest’affermazione c’è l’idea che deve essere governato da logica diversa da quella di mercato, e che quindi debba essere messa fuori mercato. Questo non significa “acqua gratis per tutti” perché è una risorsa sempre più scarsa, ed il fatto che abbia un costo è un incentivo a non sprecarla; ma deve essere garantita e accessibile a tutti. Di qui l’idea di una quota erogata gratuitamente per garantire la non esclusione. È ancora in fase di sperimentazione, lo Statuto nuovo è stato adottato da neanche un mese. Ma dopo l’estate contiamo di renderlo effettivo.
PD: Un’esperienza, quella di Napoli, bella ed innovativa, che meriterebbe di “fare sistema”…
UM: E infatti proprio da questa esigenza nasce l’idea di “FederCommons”, che stiamo facendo partire adesso: l’idea è quella di mettere in rete tutte le esperienze che cercano di rispondere al referendum, intendendo percorre sul serio la strada che ha tracciato. Qualcosa si sta muovendo: Palermo, Reggio Emilia, Belluno, Piacenza, Torino. Il sapere che si sta creando va messo in rete, serve uno sforzo collettivo. Il nostro esempio mostra chiaramente che si può fare, ma poiché le situazioni sono diverse è necessario far rete e studiare le cose assieme.
PD: Un’ultima domanda, di carattere più generale. Ho l’impressione che se da un lato la nostra Costituzione del 1948 prevede alcune forme di gestione condivisa dei beni comuni, e penso in particolare agli articoli 43 e 118 ma ce ne sono anche altri, dall’altro questa “terza via” sembra ignorata dal resto del diritto. Che spazi di operatività ci sono davvero?
UM: Questo è proprio il tema del mio ultimo libro “Contro riforme”. Esiste uno scarto immenso tra la Costituzione e il diritto positivo che si è collocato distonicamente rispetto alla nostra Carta fondamentale a seguito dell’evoluzione neoliberistica che ha subito. Degli spazi ci sono, ma vanno trovati nella pratica, nell’utilizzo intelligente di quanto c’è. Sono spazi di sperimentazione. ABC è buona pratica in questo senso, dato che ha saputo implementare fattivamente l’art. 43.
Ma lo sforzo necessario è molto grande e ci si sta lavorando. Quando esisterà una normativa civilistica coerente sarà più semplice, ed è importante riuscire a trasformare anche in istituti giuridici queste esperienze. Ma intanto è necessario, come si diceva, mettere a sistema le pratiche; si penserà poi a produrre norme coerenti.
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Box biografico:
UGO MATTEI (Torino 1961), giurista, è professore di Diritto comparato e internazionale alla University of California e di Diritto Civile all’Università di Torino. È coordinatore accademico dell’International University College of Turin. È stato vicepresidente della Commissione guidata da Stefano Rodotà per la riforma dei beni comuni. Co-redattore dei quesiti referendari per l’acqua bene comune del 12 e 13 giugno 2011, come avvocato ne ha anche patrocinato l’ammissibilità presso la Corte Costituzionale. È editorialista per il quotidiano “Il Manifesto”. Partecipa alla nuova Costituente per i Beni Comuni, istituita assieme a Rodotà, e all’esperienza del Teatro Valle (di cui abbiamo parlato sulle pagine di A&P 01/2012)
Bibliografia essenziale:
Per inquadrare la questione dei beni comuni e del panorama teorico in cui muove l’esperienza di ABC si consiglia di leggere, di U. Mattei: “Beni Comuni, un manifesto”, Roma-Bari, Laterza, 2011 e “Contro riforme”, Torino, Einaudi, 2013.